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Sostenibilità e scienze sociali, diritto alla sostenibilità, attenzione alla diversità e all’inclusione, relazioni fra sostenibilità ed equità sociale

Premesse

Le Scienze sociali guardano al tema della sostenibilità da prospettive diverse. Il fuoco dell’analisi è la nozione stessa di sostenibilità, le implicazioni recate dalla sua polisemia, l’impatto che le sue differenti accezioni esercitano o possono esercitare sulle dinamiche socio-economiche. Le attività di ricerca di questo Gruppo di Lavoro, coordinato dai ricercatori dell’Università di Trieste si concentrano su due aspetti che nella prospettiva del TLQS, appaiono rilevanti: le politiche ambientali e le diseguaglianze sociali e territoriali, da un lato, la dimensione giuridica della sostenibilità, dall’altro.

Politiche ambientali e disuguaglianze

Se non esistono accezioni condivise di sostenibilità che possono discendere da una teoria della sostenibilità univoca, esistono però politiche pubbliche che hanno come obiettivo proprio la sostenibilità. Osservare in modo analitico queste politiche può aiutare a comprendere quali siano le idee – più o meno esplicite – di sostenibilità sottostanti all’azione pubblica. Studiare le politiche significa valutarne l’impianto teorico, gli obiettivi, gli strumenti e i risultati raggiunti. Spesso, l’azione di valutazione si limita alla coerenza tra risultati raggiunti e obiettivi, senza guardare agli effetti secondari. In tema di ambiente, però, gli effetti secondari sono importanti, perché determinano la desiderabilità sociale o meno della transizione verso la sostenibilità.

Molto spesso, infatti, le politiche ambientali non hanno tenuto in considerazione gli effetti sulle disuguaglianze sociali e territoriali.

Per questa ragione, un sentimento ostile alla transizione verso la sostenibilità si è diffuso in ampi strati di popolazione che non ha tratto vantaggi diretti e immediati dalle politiche ambientali. Il tema della giustizia socio-ambientale non è soltanto una tensione etico-politica, ma è anche un ragionamento su come rendere desiderabile la transizione alla sostenibilità. Per queste ragioni, grazie alle politiche ambientali con le lenti del Goal 10 (ridurre le disuguaglianze all’interno e tra lenazioni) dovrebbe consentire di adottare un occhio critico, capace di coniugare sostenibilità e riduzione dei divari sociali e territoriali. Assumendo questa postura, il progetto di ricerca si pone l’obiettivo di suggerire alle istituzioni e alle imprese come tradurre la sostenibilità in disegni di policy che incrementino la coesione sociale e territoriale.

Nel guardare alle politiche pubbliche, il progetto di ricerca si propone di:

  • disvelare, attraverso la frame analysis, le accezioni e le teorie implicite della sostenibilità che sottostanno all’azione pubblica; partendo dall’analisi comparativa dei diversi PNR adottati dai paesi europei e monitorando le misure di policy che verranno implementate dai vari paesi, per concretizzare gli obiettivi e raggiungere i risultati attesi indicati;
  • valutare gli effetti distributivi e redistributivi degli interventi, sia sotto il profilo economico-sociale che sotto il profilo territoriale; in questo modo si analizzano le politiche per la sostenibilità, indagando se sono capaci o meno di ridurre le disuguaglianze sociali e territoriali;
  • individuare quei casi che sembrano essere più efficaci nel raggiungere obiettivi di sostenibilità e allo stesso tempo ridurre le disuguaglianze. A partire dallo studio dei casi più promettenti, si formuleranno proposte di policy attraverso laboratori di co-progettazione con istituzioni, imprese e società civile.

La dimensione giuridica della sostenibilità

Si ritiene che il SDG 16 sia il cuore giuridico degli obiettivi. In realtà non ce ne sarebbe stato bisogno. Il diritto forgia sempre, e ovunque, prassi e destini. È a livello del diritto che è possibile cogliere i fattori di qualsiasi processo operativo di sostenibilità, insieme alle sue interrelazioni con la diversità delle culture e delle tradizioni giuridiche, formali ed informali, che abitano il pianeta.

Essenziale insomma è l’impiego del diritto come lente d’ingrandimento per l’esame di alcune questioni che il discorso pubblico neglige, o non sa valorizzare, e che invece incidono in profondità sul modo di guardare al mondo in cui viviamo e di intenderne la sostenibilità. Altrettanto essenziale, peraltro, è l’impiego del diritto come lente per studiare e comprendere come i dibattiti, gli sforzi e le iniziative sulla misurazione quantitativa della sostenibilità – a cominciare proprio dagli SDGs – plasmino in profondità le agende, le retoriche e le pratiche di una pluralità di attori, finendo per direzionare e implicitamente regolare attese, azioni e pretese in materia di sostenibilità.

Gli esempi e i temi giuridici connessi alle scelte “sostenibili” in effetti si sprecano. La premessa, qui rimarcata, è che non esiste un modello “ideale” di sviluppo sostenibile, né un modello “ideale” di società giusta. Più precisamente, non esiste alcun modello di sviluppo e di società che possa fare a meno di nutrire robusti legami di compatibilità con la realtà socioeconomica, culturale e giuridica su cui qualsiasi modello si esercita o vuole incidere.

In una prospettiva di lungo periodo, cruciale è quindi valutare: quali regole si mostrino le più idonee a incentivare comportamenti operativamente virtuosi sul fronte della sostenibilità, in materia, e.g., di cibo, farmaci, commercio e finanza internazionale; la dimensione ottimale delle specifiche regole su produzione/distribuzione/consumo di energia, alla luce del loro impatto sul tessuto sociale e sulle filiere produttive, domestiche e globali; i costi sociali delle regole – chi favoriscono, chi penalizzano, dove, in quale raggio temporale; il disegno di regole di responsabilità – effettiva, non declamata – per chi favorisce il global warming, o per chi, anche in sede internazionale disattende le promesse.

Ma preliminare a tutte queste ricerche si pone il problema della dimensione giuridica in cui opera la stessa misurazione quantitativa della sostenibilità.

Quale iniziativa volta a determinare quantitativamente obiettivi e risultati in materia di sostenibilità, gli SDGs hanno inciso potentemente sulle aspettative e sui comportamenti di una pluralità di attori (dagli stati alle ONG, dalle multinazionali ai cittadini), determinando l’orizzonte e i contenuti del discorso giuridico circa i diritti e gli obblighi in punto di sostenibilità. Gli SDGs sono da sé, e per sé, un fattore di produzione di regole.

Si tratta allora di analizzare questa dimensione quantitativa per chiarire, prima di tutto, chi siano gli attori che la producano e quale modello giuridico presuppongano (declinato sulle diversità esistenti, oppure pretesamente universale e in realtà tutto occidentale, o addirittura ispirato al solo common law?).

Proprio perché gli SDGs sono portatori impliciti di regole, sarà poi cruciale studiare quali processi giuridici essi innescano e quali effetti giuridici essi determinano, anche al fine di monitorare quanto tali processi ed effetti siano vicini o distanti rispetto alle ambizioni di origine.